mercoledì 28 settembre 2016

LAVORISMO E CONSERVATORISMO DI SINISTRA.



LAVORISMO E CONSERVATORISMO DI SINISTRA. 

A
Il Partito Comunista, che dominò incontrastato culturalmente e praticamente questo lungo periodo di rivendicazioni, e il comunismo marxista leninista, che lo dominò in seconda battuta, erano certamente  interessati ai diritti sociali. Ma questi diritti erano solo un mezzo per un fine molto più totalizzante che dei meri diritti. Il fine era l’abolizione delle classi, delle differenze sociali ed umane, le quali erano il riflesso di quelle economiche, e non un dato naturale e irrimediabile di ogni società. La Democrazia Progressiva fu l’ideologia che, consapevolmente o no, guidò quelle rivendicazioni. Il tale aumento , la tale pausa erano solo piccoli tasselli di un mosaico la cui bellezza si sarebbe rivelata solo alla fine. La rivoluzione bolscevica veniva depotenziata e diluita in un lungo cammino che avrebbe portato all’instaurazione del socialismo.
Quando, nei ’70, e meglio negli ’80, ci si accorse della fallacia di questo schema, non si poté  far nulla per cambiarlo veramente. Nonostante tutti gli sforzi di Berlinguer, dall’Eurocomunismo al Compromesso storico, fino alla parziale presa di distanza dall’URSS, i semi della Democrazia Progressiva si erano sedimentati nella cultura popolare della sinistra. La quale vedeva, e in parte vede anche adesso, i diritti sociali come le porzioni di un destino sociale che si compie. Ma così non è. Così non può essere. Così non deve essere. In una Repubblica democratica costituzionale, i diritti sociali sono fini in sé. Essi non differiscono, per questo solo aspetto, dai diritti liberali. I diritti liberali sono auto finalistici, e antiutopistici: Non vi è un futuro in cui la libertà si realizzerà in qualche modo; essi devono venir applicati nel tenpo corrente, e valere senza rispetto delle condizioni sociali che causano. I diritti liberali sono perciò anche astorici. Non perché sono fuori da una storia particolare, un insieme di contingenze che li ha fatti maturare in una data costituzione giuridica. Sono astorici nel senso che fungono da limite del potere dello Stato, e forniscono dei poteri ad ogni singolo cittadino indipendentemente dal contesto storico in cui a questi capita di vivere. I diritti sociali sono altrettanto auto finalistici, anche se non possono prescindere del tutto dalle contingenze storiche. Il diritto a essere curati di ieri comportava tutta una mobilitazione di risorse che non è la stessa di oggi. Il costi della sanità sono crescenti, come crescente però è l’efficacia delle cure e l’accuratezza di queste. Perciò il  diritto sociale ad essere curati acquista nel tempo aspetti sempre diversi. Ma tali aspetti, di nuovo, non sono legati ad un destino, ma ad una serie di contingenze individuali, che nascono e muoiono in un tempo limitato potendo lasciare delle tracce di sé, come no.  
Se il destino è segnato, il debito pubblico non può essere un problema. Esso svanirà, perché svanirà il privato con il quale quel debito pubblico si contrae. Così, mentre Paesi come la Germania attendevano al loro debito pubblico, e proprio grazie alla Socialdemocrazia, cioè alla sinistra, l’Italia allungava il vino con l’acqua ad ogni pasto, e continuava nei suoi bagordi.
È chiaro che il debito pubblico è causato da un insieme enorme di fattori. Inoltre la DC e gli altri partiti della prima repubblica non furono meno voraci nel depredare le risorse pubbliche. Ma qui parliamo della sinistra perché è la parte politica che ci sta a cuore.

B

La sinistra non marxista che a ridosso della fine della seconda guerra mondiale ebbe un ruolo nella ricostituzione del nostro Paese non riuscì mai a creare delle organizzazioni politiche di massa in cui i lavoratori potessero rispecchiarsi. D’altronde le idee della sinistra liberal socialista, se da una parte divergevano completamente sull’idea di democrazia e di regime politico migliore per salvaguardare i diritti rispetto al comunismo, dall’altra condivisero col socialismo, se non l’idea di collettivizzazione del’economia, senz’altro la centralità del lavoro e della fabbrica nella costruzione di un sistema di diritti sociali, e come sistema di vita in generale. Non poteva certo essere il contrario, visto che il taylorismo aveva meno di 50 anni, ed era nel suo fulgore. L’Italia dal canto suo incubava negli anni 50 il boom degli anni seguenti, incentrato proprio sulla fabbrica, sulle grandi aziende, sulle auto e sull’acciaio. Il lavoratore era allora il soggetto di un democratismo direttista, che si sviluppava nei consigli di fabbrica. Questa democratizzazione, nel caso della sinistra comunista, della fabbrica era intesa in senso storicistico come uno dei passi verso la completa presa del potere del lavoro sulla proprietà. Nel caso della sinistra non comunista invece, ciò veniva interpretato come una umanizzazione del lavoro capitalista, nel quale l’autonomia del lavoratore veniva esaltata.
In entrambe i casi, malgrado le enormi differenze, la fede nella fabbrica e nel lavorismo, specie operaista, segnarono le ideologie.

C
Dagli anni ’70 in poi iniziò la “grande frantumazione”. Frantumazione prima di tutto dei centri di potere mondiale; frantumazione dei poli produttivi, della geografia merceologica del mondo. La fabbrica rimase e rimane, nella sua struttura di fondo,  fordista, anche se spesso è ad alta automazione; ma le fabbriche si moltiplicano, e molte chiudono: vengono de localizzate, sono spazzate via dalla concorrenza prima delle tigri asiatiche, poi della Cina e infine di tutto l’estremo oriente, dall’India, Dal Brasile e dalla Russia.
Ma l’intera sinistra culturale, sia di matrice comunista che azionista, reagì alla grande frantumazione in maniera ostile. Per la sinistra d’origine comunista la perdita dei diritti sociali che si paventava, esclusivamente legati al lavoro, era dovuta all’ideologia liberista, o meglio, neoliberista, che fu il nome che questa sinistra a quello che fino a una decina di anni prima si sarebbe chiamato semplicemente Capitalismo. Ma anche la sinistra non marxista reagì in modo simile. Vi fu una opposizione tra neoliberismo e liberalismo sociale, o democratico. In tutti e due i casi la reazione agli eventi doveva essere di resistenza e di chiusura.

D
La reazione fu dunque simile. Al ridimensionamento delle fabbriche e alla crisi del lavoro si rispose con la Fabbrica, e con il Lavoro del Lavorismo. La Grande Frantumazione avvenne, in Italia, anche tra sinistra culturale e sinistra di governo. Mentre la seconda faceva tentativi blairiani di riforma del lavoro e dei diritti sociali, la prima continuava coi suoi dogmi lavoristi, sostenendo tutti i “contro” possibili presenti sul mercato politico. Ma fallirono entrambe. Le riforme furono parziali, e finirono per peggiorare la situazione sociale dei più deboli, i giovani in primis; mentre la sinistra culturale non riuscì mai a trovare una formula politica tale da far emergere  un programma politico verosimile.

E
Intanto le riforme si bloccano, si fermano a quelle sul lavoro, sulle pensioni, e, troppe, sulla scuola. Ma ciò che la sinistra di governo non fa, e tantomeno la destra, è l’aggressione del debito pubblico, la Grande Riforma. Esso, negli anni ’90 e primo 2000 non fa che aumentare. Poi la crisi economica, la crisi fiscale e di debito. La sinistra non ha elaborato nessuna strategia, nessuna ideologia. Essa si è semplicemente suicidata in favore di un centrismo troppo moderato e bigotto che fa a gara con la destra per mancanza di idee e conservatorismo su tutti i fronti.
F
Con la scomparsa della sinistra dalla scena della politica italiana, ( incarnata dal dal trio Renzi, Letta Alfano, come unici possibili futuri leader di praticamente tutto il panorama politico ) scompaiono anche i temi dei diritti sociali, sui quali non si discute più. Essi sono o dati per scontati nella loro essenza, oppure sono discussi in un ambito generico, in un polverone indistinto in cui perdono senso e valore. Mentre oggi più che mai bisognerebbe riflettere sulla natura ideologica e pratica dei diritti sociali. Di quanto questi siano legati a quelli politici e civili, e di come essi debbano essere mutati sia nella loro gestione che nella loro fruizione.

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