LAVORISMO E CONSERVATORISMO DI SINISTRA.
A
Il Partito Comunista,
che dominò incontrastato culturalmente e praticamente questo lungo periodo di
rivendicazioni, e il comunismo marxista leninista, che lo dominò in seconda
battuta, erano certamente interessati ai
diritti sociali. Ma questi diritti erano solo un mezzo per un fine molto più
totalizzante che dei meri diritti. Il fine era l’abolizione delle classi, delle
differenze sociali ed umane, le quali erano il riflesso di quelle economiche, e
non un dato naturale e irrimediabile di ogni società. La Democrazia Progressiva
fu l’ideologia che, consapevolmente o no, guidò quelle rivendicazioni. Il tale
aumento , la tale pausa erano solo piccoli tasselli di un mosaico la cui
bellezza si sarebbe rivelata solo alla fine. La rivoluzione bolscevica veniva
depotenziata e diluita in un lungo cammino che avrebbe portato
all’instaurazione del socialismo.
Quando, nei ’70, e
meglio negli ’80, ci si accorse della fallacia di questo schema, non si
poté far nulla per cambiarlo veramente.
Nonostante tutti gli sforzi di Berlinguer, dall’Eurocomunismo al Compromesso
storico, fino alla parziale presa di distanza dall’URSS, i semi della
Democrazia Progressiva si erano sedimentati nella cultura popolare della
sinistra. La quale vedeva, e in parte vede anche adesso, i diritti sociali come
le porzioni di un destino sociale che si compie. Ma così non è. Così non può
essere. Così non deve essere. In una
Repubblica democratica costituzionale, i diritti sociali sono fini in sé. Essi
non differiscono, per questo solo aspetto, dai diritti liberali. I diritti
liberali sono auto finalistici, e antiutopistici: Non vi è un futuro in cui la
libertà si realizzerà in qualche modo; essi devono venir applicati nel tenpo
corrente, e valere senza rispetto delle condizioni sociali che causano. I
diritti liberali sono perciò anche astorici. Non perché sono fuori da una
storia particolare, un insieme di contingenze che li ha fatti maturare in una
data costituzione giuridica. Sono astorici nel senso che fungono da limite del
potere dello Stato, e forniscono dei poteri ad ogni singolo cittadino
indipendentemente dal contesto storico in cui a questi capita di vivere. I
diritti sociali sono altrettanto auto finalistici, anche se non possono
prescindere del tutto dalle contingenze storiche. Il diritto a essere curati di
ieri comportava tutta una mobilitazione di risorse che non è la stessa di oggi.
Il costi della sanità sono crescenti, come crescente però è l’efficacia delle
cure e l’accuratezza di queste. Perciò il
diritto sociale ad essere curati acquista nel tempo aspetti sempre
diversi. Ma tali aspetti, di nuovo, non sono legati ad un destino, ma ad una
serie di contingenze individuali, che nascono e muoiono in un tempo limitato
potendo lasciare delle tracce di sé, come no.
Se il destino è
segnato, il debito pubblico non può essere un problema. Esso svanirà, perché
svanirà il privato con il quale quel debito pubblico si contrae. Così, mentre
Paesi come la Germania attendevano al loro debito pubblico, e proprio grazie
alla Socialdemocrazia, cioè alla sinistra, l’Italia allungava il vino con
l’acqua ad ogni pasto, e continuava nei suoi bagordi.
È chiaro che il debito
pubblico è causato da un insieme enorme di fattori. Inoltre la DC e gli altri
partiti della prima repubblica non furono meno voraci nel depredare le risorse
pubbliche. Ma qui parliamo della sinistra perché è la parte politica che ci sta
a cuore.
B
La sinistra non
marxista che a ridosso della fine della seconda guerra mondiale ebbe un ruolo
nella ricostituzione del nostro Paese non riuscì mai a creare delle
organizzazioni politiche di massa in cui i lavoratori potessero rispecchiarsi.
D’altronde le idee della sinistra liberal socialista, se da una parte
divergevano completamente sull’idea di democrazia e di regime politico migliore
per salvaguardare i diritti rispetto al comunismo, dall’altra condivisero col
socialismo, se non l’idea di collettivizzazione del’economia, senz’altro la
centralità del lavoro e della fabbrica nella costruzione di un sistema di
diritti sociali, e come sistema di vita in generale. Non poteva certo essere il
contrario, visto che il taylorismo aveva meno di 50 anni, ed era nel suo
fulgore. L’Italia dal canto suo incubava negli anni 50 il boom degli anni
seguenti, incentrato proprio sulla fabbrica, sulle grandi aziende, sulle auto e
sull’acciaio. Il lavoratore era allora il soggetto di un democratismo direttista,
che si sviluppava nei consigli di fabbrica. Questa democratizzazione, nel caso
della sinistra comunista, della fabbrica era intesa in senso storicistico come
uno dei passi verso la completa presa del potere del lavoro sulla proprietà. Nel
caso della sinistra non comunista invece, ciò veniva interpretato come una
umanizzazione del lavoro capitalista, nel quale l’autonomia del lavoratore
veniva esaltata.
In entrambe i casi,
malgrado le enormi differenze, la fede nella fabbrica e nel lavorismo, specie
operaista, segnarono le ideologie.
C
Dagli anni ’70 in poi
iniziò la “grande frantumazione”. Frantumazione prima di tutto dei centri di
potere mondiale; frantumazione dei poli produttivi, della geografia
merceologica del mondo. La fabbrica rimase e rimane, nella sua struttura di
fondo, fordista, anche se spesso è ad
alta automazione; ma le fabbriche si moltiplicano, e molte chiudono: vengono de
localizzate, sono spazzate via dalla concorrenza prima delle tigri asiatiche,
poi della Cina e infine di tutto l’estremo oriente, dall’India, Dal Brasile e
dalla Russia.
Ma l’intera sinistra
culturale, sia di matrice comunista che azionista, reagì alla grande
frantumazione in maniera ostile. Per la sinistra d’origine comunista la perdita
dei diritti sociali che si paventava, esclusivamente legati al lavoro, era
dovuta all’ideologia liberista, o meglio, neoliberista, che fu il nome che
questa sinistra a quello che fino a una decina di anni prima si sarebbe
chiamato semplicemente Capitalismo. Ma anche la sinistra non marxista reagì in
modo simile. Vi fu una opposizione tra neoliberismo e liberalismo sociale, o
democratico. In tutti e due i casi la reazione agli eventi doveva essere di
resistenza e di chiusura.
D
La reazione fu dunque
simile. Al ridimensionamento delle fabbriche e alla crisi del lavoro si rispose
con la Fabbrica, e con il Lavoro del Lavorismo. La Grande Frantumazione
avvenne, in Italia, anche tra sinistra culturale e sinistra di governo. Mentre
la seconda faceva tentativi blairiani di riforma del lavoro e dei diritti
sociali, la prima continuava coi suoi dogmi lavoristi, sostenendo tutti i
“contro” possibili presenti sul mercato politico. Ma fallirono entrambe. Le
riforme furono parziali, e finirono per peggiorare la situazione sociale dei
più deboli, i giovani in primis; mentre la sinistra culturale non riuscì mai a
trovare una formula politica tale da far emergere un programma politico verosimile.
E
Intanto le riforme si
bloccano, si fermano a quelle sul lavoro, sulle pensioni, e, troppe, sulla
scuola. Ma ciò che la sinistra di governo non fa, e tantomeno la destra, è
l’aggressione del debito pubblico, la Grande Riforma. Esso, negli anni ’90 e
primo 2000 non fa che aumentare. Poi la crisi economica, la crisi fiscale e di
debito. La sinistra non ha elaborato nessuna strategia, nessuna ideologia. Essa
si è semplicemente suicidata in favore di un centrismo troppo moderato e
bigotto che fa a gara con la destra per mancanza di idee e conservatorismo su tutti
i fronti.
F
Con la scomparsa della
sinistra dalla scena della politica italiana, ( incarnata dal dal trio Renzi,
Letta Alfano, come unici possibili futuri leader di praticamente tutto il
panorama politico ) scompaiono anche i temi dei diritti sociali, sui quali non
si discute più. Essi sono o dati per scontati nella loro essenza, oppure sono
discussi in un ambito generico, in un polverone indistinto in cui perdono senso
e valore. Mentre oggi più che mai bisognerebbe riflettere sulla natura
ideologica e pratica dei diritti sociali. Di quanto questi siano legati a
quelli politici e civili, e di come essi debbano essere mutati sia nella loro
gestione che nella loro fruizione.
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