martedì 21 ottobre 2014
Privatizziamo la scuola, sia quella pubblica che quella cattolica
Oggi vi sono due tipi di scuola:
La semicattolica, che è formalmente di proprietà dello Stato, ma che è informalmente proprietà della Chiesa Cattolica, e la cosiddetta Scuola Cattolica, che è anche formalmente proprietà della Chiesa Cattolica
Nella prima viene praticato l'indottrinamento minor, nelle seconde quello Maior. al quale i nostri figli, senza eccezione, sono costretti a sottostare per l'intero arco di studi.
I nostri laicisti, che purtroppo hanno una visione talmente corta delle cose da essere rimati chiusi negli anni '70 anche se di anni ne hanno sedici, ritengono che il problema non sia il duopolio in sè, ma il fatto lo Stato finanzi tutti e due i termini del duopolio e non uno solo, cioè che non costituisca un ferreo monopolio, non comprendendo che un duopolio vero (cioè non natursale) è semplicemente un monopolio a due.
Il solito vecchio errore dei laicisti, che essendo in maggior parte "di sinistra", pensano che per mantenere in vita una qualche libertà, o diritto*, ci sia bisogno di un ente statale apposito che certifichi che quel diritto è stato svolto. Essi non pensano che quel diritto potrebbe venir messo in atto dal cittadino stesso, senza bisogno di un numero eccessivo di azioni da parte dello Stato.
Insomma i nostri laicisti (e badate che io sono uno di loro, perchè sono laicista, e anche di sinistra, anche se in senso diverso) son per la "scuola pubblica". Essa, in quanto pubblica, mantiene la laicità.
Purtroppo questo è falso. La nostra scuola è invece piena di violazioni della laicità, a cominciare dall'obbligo del crocifisso alle pareti, alle continue notizie di preghiere, salmi e esercizio degli astrusi e bizzarri riti cattolici che vengono perpetrati ovunque ormai. Immaginate dunque cosa può accadere in regioni come la Lombardia e il Veneto, govrnate dai fondamentalisti cristiani della Lega.
Immaginate cosa potrebbe accadere se il nostro Ku Klux Klan verde pisello dovesse assumere il governo nazionale. Che ne sarebbe dei figli dei laicisti? Forzati all'indottrinamento, ammoniti, segregati dal prete obbligatorio.
Vogliamo parlare dell'immonda ora (ore al plurale se parliamo di infanti) di religione? No, perchè non vogliamo rovinarci la giornata
Parliamo ora con i non laicisti della destra.
Ammettiamo una colpa: è vero, per molto tempo l'università italiana è stata dominata, o comunque molto influenzata (credo però senza violenza alcuna) dal marxismo (ma prima dall'Idealismo di Croce e Gentile, che "fece fuori" molti nomi illustri ed impedì tanti sbocchi diversi della filosofia). Credo anche proprio alla parentela di questo con l'idealismo che evidentemente si confà alla mentalità italiana.
Tutti questi universitari poi si devono essere riversati nelle scuole pubbliche, e devono aver fanno non pochi danni con le loro assurde concezioni storico materialste. Un indottrinamento non so dire, diciamo un indottrinamento informale; certo duqnue un pensiero unico si deve essere sviluppato.
E' quest'oggi tale influenza domata? Io suppongo di no. Quelle universitarie sono elite che vivono in maniera distaccata dal resto della popolazione. Io ricordo i katanga dei collettivi che ci sputavano in testa nelle ore di buco per deriderci del fatto della grave colpa di classe di sostenere l'allora Pds. Non so se è così ovunque, ma mi ricordo di un amico bocconiano che diceva che a economia politica alla Bocconi (!) sono tutti marxisti.
Allora abbiamo un monopolio a due termini della scuola: un termine è semicattolico e marxisteggiante e l'altro è solo cattolico.
Non mi si venga a dire che due è meglio di uno. No! E' un duopolio perciò scegliere uno o l'altro non è una vera scelta, ma la parodia di una scelta.
Allora vengo al punto:
Privatizziamo le scuole.
1) Liberalizziamo quasi completamente il settore in modo tale che chiunque possa entrarci e fare una scuola secondo il metodo che vuole
2) portiamo le materie obbligatorie al minimo possibile in modo tale che tutte le scuole possano insegnare ciò che voglioni senza limiti di orario
3) Autonomizziamo le scuole pubbliche e mettiamo nei consigli di istituto o quel che è talmente tanti elementi locali (associazioni, genitori singoli, banche, fondazioni ecc.) da renderle semiprivate
4) istituiamo il sistema di voucher univesale
5) liberalizziamo la professione dell'insegnante: ognuo assume chi vuole e lo licenzia quando vuole
* libertà e diritti in senso positivo/affermativo
venerdì 10 ottobre 2014
La Necessità del Caso
I sostenitori del ritorno alla religione e alla tradizione contro il secolarismo e il laicismo “scientista” sostengono che il mondo descritto da questi ultimi è un mondo dominato dal caso, in cui niente è vero perché tutto, per essere preso in considerazione, deve essere falsificabile e, dunque, potenzialmente falso.
Se nulla è vero allora tutto il valore
è valore soggettivo; una soggettività in qualche modo assoluta, che non ha
nessuna oggettività in base alla quale formarsi. Tale l’altro male letale del
laicismo scientista: il relativismo morale e dei costumi.
Il caso di cui parlano non è però affatto un “valore”,
o una idea elaborata nei pensatoi degli scienziati (i quali sono preposti a
fare altro che a “fingere hypotheses”), ma è un aspetto della realtà. Ma un
solo aspetto, non l’unico. D’altra parte anche il motto “il caso e la
necessità” è di difficile digestione per i religiosi. Non comprendono costoro
come leggi di natura, cioè regolarità in base alle quali si può calcolare il
corso degli eventi, possano coesistere con eventi del tutto imprevedibili. La
gran messe di oggetti naturali infatti sono soggetti ad una infinità di
pressioni e leggi della natura, in modo tale che la costituzione dei loro stati
finali è del tutto impredicibile.
Sembra invece che nel termine “casuale
i religiosi vedano già qualcosa di intrinsecamente negativo. Il diavolo è il re
di questo mondo perché egli “governa il caso”. Ma non può esser così
naturalmente. Poiché se il caso ha un governo, se il terremoto viene per punire
i gay, per esempio, allora non è un
caso. Ma essi preferiscono “dare un senso al caso”, cioè volontariamente e
“scientemente” fraintendere la natura della casualità, pur di non arrendersi ad
essa. L’impredicibilità dei fatti
naturali mostrerebbe che la natura non è generata con uno scopo, secondo un
progetto, svolgendosi essa come in un una sorta di programma predefinito. Se vi
è caso non vi è progetto, e se non vi è progetto non vi può essere progettista,
ma soprattutto non vi è senso, non v è coerenza progetuale. Ma, il fatto che vi
sia casualità naturale non implica l’impossibilità di un progetto, ma
semplicemente impossibilità di una certa tipologia di progetti, cioè quella basata
su una programmazione rigida, in cui “tutto è scritto”. Ma molti progetti
nascono su contingenze, e si sviluppano lungo corsi improvvisati, inaspettati
ma che, nel loro dispiegarsi, riempiono di senso l’azione dell’agente che la
direziona piuttosto che svuotarla. Il caso, lungi dall’essere nemico del senso,
procura ad esso il materiale sul quale esso si cistruisce. Certo, il caso è
amico dell’uomo, e non di Dio. È l’uomo infatti che può giocare con le
contingenze e la “fortuna” per arrivare ad uno scopo superiore, fiutando il
corso naturale degli eventi. È l’uomo che può perfino lasciarsi trasportare dal
fiume delle cose e giungere lo stesso ad una riva più sicura di quella da cui
si è partiti. Perciò quel che manca al mondo della scienza non è la
progettualità, ma la progettualità magico-teistica del “tutto ha un senso”; non
manca il senso, ma un meta senso universale presente in ogni cosa No, il mondo
produce senso solo quando l’uomo “lotta” contro di esso per accaparrarselo, per
rubarne i segreti ed usarlo per i suoi scopi.
Mi chiedo cosa perderemmo nel fare a
meno di migliaia di interpretazioni e soprattutto sovrinterpretazioni dei fatti
casuali, senza la benché minima speranza di cavare un ragno dal buco. Siccome
il caso è dunque difficile da digerire, torniamo a trarre il futuro dalle
interiora degli uccelli, quindi.
Il caso, lungi da ostacolare lo
sviluppo delle qualità propriamente umane dunque, lo favorisce. È un prezioso
alleato. Certo, ognuno è libero di leggere nella trama degli eventi casuali la
mano della provvidenza, ma non può sostenere che se questa mano non c’è allora
tutto ciò a cui quella trama conduce è privo di fondamento e senso. È piuttosto
questo disegno dettagliato della storia che la provvidenza disegnerebbe sulla
nostra taglia a comportare una deprivazione insopportabile della nostra
capacità di partecipare creativamente alla grande commedia. Se c’è il caso non
c’è il senso? No! Se c’è il senso assoluto e assolutista della religione non c’è
libertà!
mercoledì 8 ottobre 2014
In difesa della libertà di licenziamento
Per il leviathano sindacale e i suoi inermi affiliati, l'abolizione dell'art. 18 è il male, poichè rappresenterebbe, dicono, la libertà del ddl di licenziare arbitrariamente. Tale libertà, continuano, verrebbe abusata subito ed usata come mezzo di coercizione di repessione delle istanze di rivendicazione dei lavoratori. A parte che dietro questa concezione si intravede il solito leit motiv della lotta di classe, ma da un certo punto di vista non hanno tutti i torti.
Libertà di licenziare in maniera arbitraria. Cioè, libertà dell'imprenditore di licenziare in accordo con la propria volontà. Cioè, ancora, in accordo con il proprio giudizio, a cui si suppone quella volontà si ordinata.
Ma per il Leviathano l'arbitrio dell'imprenditore è in realtà facezia, capriccio, ed è orientato dall'odio pregiudizievole verso i dipendenti e il suo senso di smisurata superiorità.
Ma noi dobbiamo però considerare che un imprenditore non può agire sempre in maniera arbitraria. Primo perchè nessuno lo fa, se non i malati di mente, secondo perchè l'imprenditore deve seguire dei comportamenti che lo portino verso la creazione di profitto (e di valore necessariamente). Il profitto forza e direziona il suo comportamento, nel senso che lo vincola o lo limita con dei confini.
In particolare, l'imprenditore ha bisogno di validi collaboratori che lo aiutino nella sua opera di creazione del valore. Purtroppo però, spesso, la capacità di giudicare la validità complessiva di un dipendente è una competenza difficile da acquisire, come è difficile giudicare un candidato in un solo colloquio di lavoro. Molte aziende a questo proprosito infatti fanno numerosi colloqui al singolo candidato, al quale vengono anche somministrati test cognitivi di ogni tipo. Eppure, anche chi può permettersi di mettere in campo un apparato di selezione del personale così efficiente, sa che il modo principale per capire se una persona è utile o no all'azienda è quello di metterlo alla prova.
Certo, oggi ci sono i periodi di prova. Ma tali periodi nella maggior parte dei casi non sono affatto sufficienti (oggi 3 mesi), perchè l'imprenditore o il suo delegato spesso hanno pochissimo tempo da dedicare ai nuovi assunti. Specie nelle piccole e medie aziende la selezione e la valutazionedel personale è approssimativa per mancanza di riosorse, e per mancanza di competenze specifiche.
E allora quale metodo migliore di selezione se non quello di assumere qualcuno con l'opzione di poterlo licenziare quando e come si preferisce qualora ci si accorga che il lavoratore non è adatto al suo ruolo?
Questo aumenterebbe il turn over e non necessarimante l'occupazione. Ma non è questo il problema perchè aumenterebbe le opportunità di lavoro, e molto probabilmente il lavori fatti per persona, cioè le esperienze e dunque le competenze. Cioè nel grande numero significherebbe aumeno significativo delle capacità produttive del lavoro.
In secondo luogo vi è una ragione di efficienza. Il fatto che l'imprenditore possa riformulare la squadra dei collaboratori ogni volta che lo riiene necessario, e possa farlo in fretta, con la spesa minima in adempimenti e rotture di scatole, significa che l'azienda diviene più dinamica, più facilmente capace di aggiustamenti in funzione dei cambiamenti ambientali.
Nel giro di 10 quanti saranno gli occupati medi di un'azienda libera rispetto a una con licenziamenti bloccati? Quanto sarà più solida la prima rispetto alla seconda?
Certo, si dirà, tanti licenziamenti saranno proditori, assurdi, immotivati, vili ecc. ma come d'altro canto si può credere che una legge ostativa come quella dello Statuto possa risolvere o conculcare la proditorietà, l'assurdità, l'arbitrarietà, la viltà di un imprenditore? Tutti questi elementi di umanità sono parte integrante della vita di ognuno di noi, e non solo in ambito lavorativo. Vorremmo forse essere protetti dal tradimento erotico dalla legge? O che le nostre amicizie fossero protette dall'invidia da un regolamento?
O invece prereriremmo subire la probabilità di essere trattati ingiustamente, ove di contro vi fosse anche la massimizzazione di quella di essere trattati davvero secondo il nostro valore?
Ma per il Leviathano la legge deve "proteggere" i lavoratori, con una legge che impedisca che siano selezionati i maniera efficiente. A meno che non siano giovani, allora possono pure essere licenziati ogni alito di vento. I contratti a tempo infatti servono a questo, a rendere licenziabili i giovani in modo tale da proteggere gli anziani.
Se infatti tutti i lavoratori avessero le stesse regole, la licenziabilità degli anziani farebbe sì che le chance di una loro sostituzione, in funzione di un ambiente ad aumentata competizione, da parte di un giovane aumenterebbero.
Il che renderebbe tutto il sistema più competitivo e impedirebbe al Leviathano di nutrirsi della carne giovane dei suoi sudditi più deboli.
mercoledì 1 ottobre 2014
La Cina è lontana
L’esempio della Cina ci dice molto sulla percezione che
gli italiani hanno dei processi economici internazionali.
Essi credono che le economie siano governate da una sorta
di Grandi Orchi malvagi, che vogliono il declino delle economie avanzate a
favore di economie in via di sviluppo fatte da morti di fame disposti a tutto, piccoli
gnomi degenerati, che fanno da famigli agli orchi suddetti.
La Cina non ha dovuto fare grandi sforzi per diventare una
delle più importanti economie del mondo: ha, banalmente, liberalizzato,
privatizzato, e favorito l’integrazione economica tra gli attori interni e
quelli internazionali. Questo ha messo in moto uno sviluppo tale che, in 30
anni, lungi dall’aver creato nuova miseria e sfruttamento, ha permesso di fare
uscire dalla povertà decine di milioni di persone.
Ciò che è successo è simmetrico a ciò che accadde a
moltissimi paesi europei, tra cui l’Italia, nel corso del secolo passato:
produzioni via via sempre più obsolete per il livello di innovazione,
tecnologia e redditività, furono spostate da aree sempre più sviluppate, a aree
in via di sviluppo. Cioè, furono “delocalizzate”, come si dice oggi, in paesi a
più bassa produttività, che sono però ance a basso costo del lavoro, cosa che
risulta molto utile quando si vuole mantenere un buon saggio di profitto su
produzioni obsolete.
Nulla di nuovo sotto il sole. Eppure le persone vedono
tutto ciò come se accadesse oggi per la prima volta. E tutti si lamentano. La
Cina è diventata il nuovo impero del male. “Ma cavolo, ma fanno tutto in Cina!”,
urlano stittizi gli indignados dell’economia internazionalizzata. Ma nessuno si
chiede il perché fanno tutto lì. “Perché costa meno, e così LORO (il LORO non
manca mai nell’indignado popular populista sia leghista che comunista) ci guadagnano”.
Eh, ma perché ci guadagnano? Silenzio poi “perché gli operai li pagano a
lenticchie!”. Certo, ma perché questo dovrebbe farli guadagnare! Silenzio.
Perché, caro il mio comunistetti, caro il mio leghistetti,
meno paghi l’operaio e minore è il prezzo che puoi fare, e dunque maggiori sono
le chance di vendere. E se il prezzo è minore, tu, dall’altra parte del mondo,
potrai dedicare una parte inferiore del tuo reddito monetario per comprare quel
prodotto lì. Il Grande Orco Cattivo ci guadagna in profitto, tu in risparmio, e
l’operaio migliora – anche se, ce ne rendiamo conto, di poco e in modo
insufficiente – la propria situazione. questa è la globalizzazione, e questo,
al contempo, non è il problema.
Il problema è locale, non globale. La globalizzazione è
libertà di movimento dei capitali finanziari, di investimento e liberoscambismo,
cioè dazi bassi e quantità vendibili non irreggimentate. Nulla di pià
Il problema è la NOSTRA economia: Produttività stagnante,
assenza di innovazione, nanismo industriale, metà paese nel medioevo feudale
ecc.
La Cina è lontana, purtroppo
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