martedì 29 ottobre 2013

Il suicidio stoico di Simone D

Questo è un suicidio stoico, non da depressione. E' una cosa simile a quello che fanno i bonzi tibetani che si danno fuoco per protestare contro la repressione cinese, o a uno sciopero della fame portato alle estreme conseguenze. Gli omosessuali italiani non hanno nessun supporto politico, non hanno nessun riconoscimento, nessun diritto nessuna visibilità, nessuna libertà, perchè non c'è libertà dove non c'è uguaglianza. E allora non possono che tentare la strada del martirio, della testimonianza estrema. Il suicidio, mentre quelli di Avvenire si pascono di esso per gonfiare, oltre che le loro tasche, i loro cuori inariditi da una fede in un dio crudele

lunedì 21 ottobre 2013

La scala delle verità

Capisco la "scala delle verità" di Odifreddi, ma lui non capisce quella parte del senso delle parole che è costituita dalla cornice emotiva ed evocativa entro cui vengono comprese, la quale non ha nulla a che fare con la verità, cioè con la descrizione di ciò che è, ma con la descrizione di ciò che si sente dover essere. Tale dover essere non sempre merita critica, ma a volte, e sembrerebbe questo essere il caso, esso merita invece un dogmatismo ragionevole. Col tempo gli storici ci diranno come si riterrà che sia andata, ma adesso, oggi, l'olocausto e le camere a gas gridano ancora vendetta. Nessuno naturalmente nega la critica in ambito storico, e la libera ricerca su tutto, compreso la Shoà. Ma la "verità" di essa non sta nella scala di Odifreddi, non è una verità che si possa determinare solo con metodi di verifica. Forse non è nemmeno una "vera verità", ma sicuramente il monito che essa ci lascia ha la forza di convincerci a trattarla come una verità di ordine superiore a qualsiasi di quei metodi. 


La sinistra post-berlusconiana può tornare ad essere garantista?

Simona Bonfante su Strade  descrive un caso di ordinaria malagiustizia. Ciò che colpisce di più di questa storia è che sembra che le leggi, le regole siano distanti anni luce dalle prassi. La discrasia tra prassi e regola è una costante non solo della burocrazia giudiziaria.
Nel mezzo di tale discrasia si annida il peggior nemico delle democrazie liberali, ma soprattutto delle repubbliche democratiche liberali, che fanno del Governo della Legge (e quindi anche della regola, o della procedura) il fondamento della solidarietà politica tra cittadini: L'arbitrio. 
Non intendo dire che non vi debbano essere prassi che "interpretino" le regole. Vi devono essere, giacché le regole sono fatte di parole, mentre le prassi sono fatte di azioni che applicano la ratio di quelle parole.  Ma tali prassi si devono consolidare, e diventare una costante nel comportamento dell'attore pubblico. Ma nel caso italiano le prassi non costituiscono procedure comportamentali predicibili, ma piuttosto variano entro un range; e tale variazione è funzione in ultima analisi della volontà, del desiderio e del capriccio del singolo burocrate con il quale l'individuo coinvolto in esse si trova ad avere a che fare. 
Come è possibile che vi sia tale arbitrarietà nelle procedure? 
Alcune ipotesi, guardando al caso in questione:
1. Il magistrato che chiede la carcerazione preventiva e quello che la convalida non hanno nessuna responsabilità sulla correttezza della loro richiesta e convalida della richiesta. Cioè non rispondono in alcun modo qualora la carcerazione preventiva si rivelasse, alla fine del processo, inutile, in quanto l'imputato è innocente
2. La burocrazia giudiziaria, anche per motivi legati alla complicata legislazione e al numero enorme di adempimenti, non è responsabile in alcun modo della durata dei processi. Più è lungo il processo, e più si protrarrà la carcerazione preventiva. Più la carcerazione si protrae e maggiore è il danno arrecato all'imputato se questi si rivelerà innocente
3. I magistrati costituiscono una lobby, oltre che uno degli organi di potere dello Stato, che impedisce ogni riforma. (Le altre lobby fondamentali sono, i sindacati dei lavoratori, quelli datoriali, le associazioni di categoria, gli ordini professionali e la Chiesa) 
4. La magistratura in generale non risponde a nessun organo terzo, che non sia strettamente correlato con la magistratura stessa, degli errori giudiziari o degli abusi che i suoi componenti commettono
Quel che mi chiedo è se è possibile, nel post-berlusconismo, che la Sinistra torni ad essere, oltre che legalitaria, anche garantista in modo da ritrovare i valori repubblicani della responsabilità e del Governo della Legge quando questa è equa ed i cittadini che vi sottostanno eguali di fronte ad essa. 
Per far questo si dovrebbe lavorare su tutti i punti precedenti, di fatto, rileggendo alcuni temi che, per ironia della storia, sono stati (falsamente) cari alla destra. Ciò che bisogna fare è agire per responsabilizzare e creare fonti terze di giudizio delle azioni dei magistrati stessi, che non siano eccessivamente collegate al potere politico. 

1. Responsabilizzare i magistrati. Se tu metti in galera preventivamente qualcuno che poi si rivela innocente, vieni multato, e devi quantomeno poter perdere punti di carriera, o avere decurtazioni dello stipendio. Dall'altro lato l'innocente deve venir risarcito tramite un automatismo, e non dopo una causa (anche se non sono sicuro che questo sia costituzionalmente possibile). In ultimo l'innocente deve poter chiedere i danni ai magistrati stessi. Inoltre i magistrati devono poter subire un processino interno che decide quali azioni disciplinari compiere tra quelle sopra descritte (vedi dopo)

2. Bisogna che il Parlamento riduca gli adempimenti, ma d'altra parte bisogna fare un benchmark sul tribunale più veloce, e distribuire premi (in danaro o avanzamenti di carriera) e punizioni (disciplinari) a seconda del raggiungimento o meno degli obbiettivi previsti negli altri tribunali. Insomma responsabilizzare la dirigenza del tribunale sulle tempistiche dei processi
3. Stesso problema delle altre lobby. Non vanno eliminate o conculcate, ma semplicemente vanno riportate dal loro Status di caste indù a quello di associazioni di uomini e donne libere. (questo è più un obbiettivo di fondo che specifico)
4. Riformare il CSM, e renderlo capace di infliggere punizioni disciplinari oppure di premiare il merito in maniera oggettiva. Per esempio di potrebbe inventare una authority, nominata per es. dal Presidente della Repubblica, Il Ministero Di Grazia e Giustizia, la Corte Costituzionale o altre istituzioni "affidabili" affinché questa indichi alcuni nomi da candidare per l'elezione del CSM in modo che siano terzi rispetto ai magistrati. 

Naturalmente queste sono solo idee raccogliticce, ma servono per dare uno spunto per un tema che la sinistra non può più ignorare, perché ne va dei suoi valori fondamentali. 

domenica 20 ottobre 2013

Rifondare il liberal socialismo

Il concetto di fondo del Liberasocialismo "classico" italiano si può riassumere nel seguente principio:

A.  la garanzia fornita dai diritti sociali è l'elemento grazie al quale si rende effettivo l'esercizio dei diritti liberali da parte dell'individuo. In altre parole il possesso di certi beni ritenuti fondamentali mette in grado l'individuo di effettuare scelte consapevoli, e non forzate dalla sua condizione economica o sociale. 

E' indubitabile che, affinché un individuo possa esercitare la propria libertà, debbano verificarsi le due condizioni seguenti:
1. avere almeno due opzioni, che non siano equivalenti dal punto di vista del loro valore per l'individuo, tra le quali scegliere
2. avere i necessari mezzi economici e sociali in forza dei quali poter "comprare" una delle due o più opzioni

La condizione 1 è soddisfatta se esiste una società tale da offrire a tutti gli individui almeno due scelte non equivalenti
La condizione 2 è soddisfatta se tutti gli individui hanno mezzi sociali ed economici sufficienti per scegliere almeno tra due opzioni non equivalenti. 
Solitamente quasi tutte le società forniscono opzioni diverse in un numero notevole di settori, tra cui gli individui possono scegliere. Ma solo le società occidentali, con le loro istituzioni liberal democratiche, riescono a fornire più opzioni in settori che sono ritenuti particolarmente importanti, come le scelte in materia di morale personale, di scelte politiche, di scelta del partner (molte società vietano la scelta del partner) ecc. Materie che istintivamente riteniamo fondamentali per la nostra vita. Allo stesso modo, le stesse società hanno garantito, almeno prima della Lehman Brothers, anche un certo paniere di mezzi socio-economici che rendevano gli individui capaci di effettuare le scelte. 
Fin qui Liberalismo e Liberalsocialismo non sembrano divergere granché. 
L'asino però casca quando si va a toccare la questione della quantità effettiva dei mezzi che ogni diverso individuo ha, e quale effetto tale differenziazione nella dotazione di mezzi abbia sulla disponibilità delle opzioni. 

A rigori, per il pensiero liberale classico, la libertà non è quantificabile. O si è liberi o non lo si è, ma non si può essere più liberi di qualcun altro. La mia libertà consiste nel mio diritto ad usare il mio corpo, la mia proprietà e i miei beni secondo le mie preferenze senza che vi siano interferenze, a patto che rispetti lo stesso diritto degli altri esseri umani. Io non posso avere "più diritto" di un'altro. E' lo stesso, o meglio, i diritti sono pari, non eguali
Qui la concezione liberalsocialista diverge completamente da quella liberale classica. Vi è in A infatti come implicitum che ad essere rilevante nella questione dei diritti non sia tanto la loro conformazione etica, la loro validità legale universale, ma gli eventi e gli stati di cose che l'individuo genera in forza di essi, grazie al potere che i mezzi socioeconomici, che egli possiede, gli conferisce. 

Ma  perchè il liberalsocialismo parla di eguaglianza? 
Si intende forse eguaglianza delle libertà in senso sostanziale? Se così fosse, in che modo si dovrebbe decidere quali ambiti sociali dovrebbero essere scelti come obbiettivo per politiche redistributive della libertà sostanziale? Mi spiego: se quel che importa è la libertà effettiva, sostanziale (positiva si potrebbe anche dire) di scegliere, di agire secondo le proprie inclinazioni, come facciamo a capire in quali aree di scelta (lavoro, famiglia, amicizie, scuola, volontariato, svago ecc.) gli individui dovrebbero essere egualmente sostanzialmente liberi?

Il link sopra descrive una certa difficoltà del LS nel produrre proposte concrete. Questa difficoltà trova secondo me le sue radici proprio nella "vertigine" che si prova quando si tenta di delucidare nel dettaglio come la libertà sostanziale dovrebbe divenire politica redistributiva. Le preferenze delle persone sono variegate, e sebbene in maniera euristica possiamo fare un elenco di cose che riteniamo che siano importanti per tutti, è difficile poi che il nostro elenco combaci alla perfezione con quelli degli altri. 

Può esistere un modo per individuare delle aree, dei terreni sociali specifici nei quali intervenire? E se c'è, è davvero realistico parlare di eguaglianza delle libertà sostanziali? 
Ammesso che abbiamo individuato un pò di ambiti rilevanti su cui "lavorare", quanto ci costerebbe , in termini di regolamentazioni, tasse, intervento statale, burocratizzazione, limitazione della libertà di azione di terzi ecc. equalizzare tutte gli individui in quegli ambiti? 
Riusciremmo comunque a equalizzare la situazione di Tizio e Caio se diamo loro tanti mezzi socioeconomici tali che permettano ad entrambe di avere almeno due opzioni di scelta nell'ambito X? 
Sì, ma anche no. Dipende infatti dalle conseguenze che le scelte avranno sulle scelte future di Tizio e Caio. Se Tizio è una persona in gamba e riesce a far fruttare la sua scelta in misura maggiore di Caio, ecco che la situazione di eguaglianza tra i due durerà lo spazio di una tornata di scelte. Se cioè Tizio e Caio scelgono avendo gli stessi mezzi, è sempre possibile però che le caratteristiche individuali dei due siano tali da rendere la successiva tornata di scelte o più ricca o meno ricca. Dovremmo continuare ad equalizzare le libertà sostanziale per sempre? Io credo di no

Per ricapitolare:
Il LS è interessato alla libertà sostanziale, e legge i diritti come eguali diritti alla libertà sostanziale in certi ambiti,  ma questo genera tre problemi
1. Individuare gli ambiti sociali rilevanti su cui operare con le politiche di redistribuzione
2. Avere a che fare con le differenze individuali che pongono un'ipoteca sulle scelte future
3. Il solito problema dell'egualitarismo: Quanto costa in termini di soldi, legislazioni restrittive, debito pubblico ecc.? 

Ciò detto, è possibile "salvare" il LS, nel senso di renderlo più realistico, e, se non evitando del tutto, almeno smussando gli spigoli che i problemi sopraesposti comportano?

Io credo di sì.
Innanzitutto bisognerebbe trovare un metodo che possa indicare gli ambiti sociali rilevanti entro quali misurare l'eguaglianza delle libertà sostanziali. 
Un metodo può essere, molto banalmente, quello democratico. Un Parlamento può decidere in quali ambiti investire, o fare programmi di aiuto.
Inoltre, come regolare la situazione tra individui in modo da mettere in pratica dei principi redistributivi e avendo come fine quello di equalizzare la situazione tra due individui secondo quei principi?
Che fare da questo versante?
In primo luogo, indebolire il principio di eguaglianza. L'eguaglianza delle libertà sostanziali deve essere misurata in intervalli tra massimali e minimali. Gli stati finali raggiunti dagli individui, a parità di mezzi sociali, saranno sempre diseguali, a causa della differenza interpersonale. Tale diseguaglianza si ripercuoterà nelle scelte successive, e così via, creando potenzialmente anche grandi diseguaglianze di stati finali, partendo da una eguaglianza iniziale. Da ciò, si può inferire che forse è possibile un concetto diverso di eguaglianza. L'eguaglianza non viene più misurata come adeguamento di tutti allo stesso "standard"mediano che fa la misura dell'uguaglianza. Ciò che si deve misurare è la ultima posizione, e far sì che chi sta in ultima posizione non ne discenda, se non volontariamente, avendo sempre la possibilità, grazie ad un ampio insieme di scelte possibili, di cambiare il proprio status.  Se Tizio e Caio partono dalla situazione egualitaria A, allora la situazione rimarrà egualitaria se dopo prima tornata di scelte vi chi "ha avuto la peggio" sia quantomeno alla stessa quantità di quanto aveva all'inizio della serie di tornate di scelte. A1 rispetto ad A è egalitaria se è egalitaria in senso assoluto cioè A=A1 o A1>A. In altre parole la situazione minima diventa lo standard, invece che quella media, come nell'eguaglianza assoluta esige.

Vi sarebbe dunque società giusta laddove le persone non possono scendere sotto un certo livello di qualità della vita, avendo però numerose opzioni di scelta in numerosi ambiti sociali rilevanti, in modo da migliorare il proprio status, o peggiorarlo per i propri errori e fallimenti, senza che questi fallimenti possano portarvi ad un livello sociale (reddito, casa, mangiare e bere ec.) sotto lo standard minimo. >D'altra parte, la società Liberal socialista non lascerebbe mai solo l'individuo in queste scelte, ma lo rifornirebbe di numerosi beni immateriali, come una buona istruzione diffusa nella società, o beni materiali come per es. un reddito di ultima istanza, diffusione della cultura tramite tutte le istituzioni, in modo da poter scegliere in maniera informata.
Il Liberal socialismo dovrebbe creare una società dell'empowerment e dell'assistenza al disagio con un alto grado di servizio.


Veniamo al problema degli ambiti sociali rilevanti. I parametri del tenore di vita e di qualità della vita sono molti, ma esistono moltissimi studi che ne individuano, il più scientificamente possibile, quali sono i più rilevanti ed importanti. Tali studi riescono ad esibire cifre e misurazioni sufficientemente precise per individuare un set di ambiti sociali rilevanti sui quali misurare il benessere, la libertà e l'eguaglianza.

Insomma, il LS per rinnovarsi dovrebbe apportare qualche modifica al suo apparato ideologico:

1. Innanzitutto rivedere l'idea di eguaglianza secondo una concezione di eguaglianza basata su standard minimi
2. Perdere un pò in tensione ideale e diventare più pragmatico e propositivo, soprattutto individuando, dati sociologici e scientifici alla mano, quali sono gli ambiti sui quali i programmi statali di redistribuzione dovrebbero intervenire
3. Cambiare i beni e i mezzi sociali degli welfare tradizionali, puntando su quelli immateriali della cultura, della formazione - sia lavorativa che di argomenti di interesse
3. Rivedere il concetto di libertà sostanziale alla luce del fatto che la libertà di scelta oltre a realizzare l'essere umano pone anche delle ipoteche sul suo futuro. Insomma, smitizzare l'idea di libertà. 








giovedì 17 ottobre 2013

Il doppio legame dell'economia

Come ci racconta il buon Stagnaro il problema dei conti pubblici, in relazione con l'economia italiana, sta in due righe. Non si può spendere in disavanzo per foraggiare l'economia perchè il rialzo del deficit ridarebbe fiato all'indebitamento con conseguente calata di scure sull'Italia dei mercati finanziari internazionali. D'altra parte, continuando ad abbattere deficit con tagli ciechi e tasse si peggiora l'economia, cioè il PIL, e facendo decadere il rapporto debito/PIL, in quanto facciamo decadere il PIL, peggioriamo pure il debito. 

Questo doppio legame in cui la politica economica deve lavorare è sempre taciuto nei talk show politici, i quali si limitano a mostrare politici od esperti che parlano di come altri politici, di governo, e altri esperti, di governo, si divertano a cambiare nomi alle tasse e a distribuire caramelle ai lavoratori e imprenditori. 

Ma ancora non mi è capitato di sentire alla TV, o leggere da nessuna parte, come questo doppio legame possa essere sciolto, ammesso che lo possa. 

Io non sono un economista, e sono pure una schiappa coi rompicapo. Ma a me pare che i politici, vecchi, nuovi, seminuovi e nati vecchi, nemmeno si rendano conto del nodo al quale si sta impiccando l'Italia. Non che vogliano soprassedere per evitare la brutta figura di non saper cosa dire, ma proprio  che non ne abbiano sentore alcuno, che ne siano ignari 

mercoledì 16 ottobre 2013

Libertà senza Libero Arbitrio (Prima parte)

LIBERTÀ DI SCELTA
Credo che un presupposto da tutti coloro che credono che vi siano valori politici che accomunano tutti gli esseri umani possano condividere, e sul quale non vi è malinteso, è il seguente:
A)     Gli individui nascono liberi, e ciascuno vive rapporti con altri individui, liberamente; nel senso che tali rapporti non sono  costretti da terzi ad essere messi in atto. Gli individui inoltre sono liberi nel senso che possono liberamente utilizzare tutti i beni che sono in loro legittimo possesso, per fini autodeterminati, a patto che ciò non violi la stessa libertà di terzi.
Le argomentazioni che possono supportare queste affermazioni sono molte, e nella storia della filosofia morale e politica se ne possono trovare moltissimi esempi. Ma per adesso vorrei occuparmi piuttosto di cercare di chiarire quali sono le caratteristiche  intrapsichiche e comportamentali, connotanti la libertà, che fungono da condizioni sufficienti per le quali noi possiamo dare al termine “Libertà” un significato che possa essere usato nei nostri discorsi in modo comprensibile. Rimanderò ad altro postil problema più schiettamente etico e politico.
Come capiamo che gli esseri umani sono liberi?
Di fatti, non lo capiamo, nel senso che non possiamo capire a cosa si riferisce il termine libertà, poiché non vi è nessuna “cosa”  a cui “Libertà”  si riferisce.
La libertà non è un oggetto materiale ovviamente, ma piuttosto un oggetto puramente astratto. Essa è più precisamente un evento il cui protagonista è un organismo umano (e anche animale, come vedremo) che compie degli atti che noi presupponiamo essere atti di scelta
Cos’è un atto di scelta? Un atto di scelta è un certo atto che viene portato a compimento in alternativa ad un altro atto. La scelta dunque ha una sua estensione materiale, che si concretizza nell’atto di scelta, ed un presupposto stato mentale, che si immagina consistere in una alternativa all’atto di scelta. Si presuppone cioè una decisione, cioè una ponderazione tra più atti immaginati, e una selezione di uno di questi atti.

Deliberazione
Ora abbiamo qualche elemento in più per comprendere come potremmo fare per accorgerci che un essere umano è libero. Ciò che possiamo vedere è semplicemente l’atto di scelta, cioè l’effetto comportamentale del processo di scelta. Da un atto noi non riusciamo ad inferire se vi sia stata una ponderazione e una selezione delle azioni che poi sono state effettuate nella realtà. Non riusciamo cioè a desumere il processo di deliberazione della scelta. D’altro lato però noi possiamo non limitarci all’osservazione di un singolo segmento del comportamento individuale. Possiamo osservare, e tutti i giorni lo facciamo, il flusso del comportamento individuale, e partecipare di molti atti di scelta. Questo flusso ha una caratteristica che può aiutarci nell’impresa. Se facciamo attenzione alla messe di atti che individuo compi giornalmente ci accorgeremo che essi non solo variano a seconda di quale sia la materia sulla quale si deve agire, ma spesso anche negli atti che si riferiscono alla medesima materia, in altre parole, l’indiiduo non si comporta diversamente solo quando ha a che fare con situazioni diverse, ma può comportarsi diversamente anche quando ha anche fare con la medesima situazione per una seconda, o terza volta, dimostrando così una certa imprevedibilità e non automaticità di comportamento.  La variabilità e la indeterminatezza del comportamento, almeno sui tempi lunghi,  possono in effetti lasciarci presumere che “dietro” agli atti effettivi vi sia un qualche processo di deliberazione, il quale a sua volta spiegherebbe la variabilità e l’indeterminatezza del comportamento.
Chiariamo subito che tale processo non deve per forza verificarsi consciamente, né deve necessariamente essere una funzione di un certo organo biologico – il cervello per es. – piuttosto che un altro, o dell’insieme degli organi. A noi basta convenire che il processo di deliberazione è un entità astratta che ci permette di dare un senso al comportamento umano. D’altra parte, tale entità può funzionare da riferimento quando parliamo di libertà. Quando dunque usiamo la parola “libertà” in un qualche contesto intendiamo dire, ceteris paribus, che in quel contesto è coinvolto un essere umano, che è alle prese con un processo di deliberazione, cioè di ponderazione di azioni e selezione di azioni, che potrebbe terminare con un atto che chiameremo atto di scelta

Libertà animale
La libertà così intesa diviene anche potenzialmente misurabile.  Seguendo la traccia del processo di deliberazione, infatti,  possiamo dire che Il tasso di libertà di un animale di qualsivoglia specie si misura dalla variabilità comportamentale e dalle abilità cognitive che esso possiede. Un essere che, pur seguendo regole, non è mai interamente prevedibile lascia intendere che l’”essere” sia proprio libero, cioè capace di variare le strategie adattive.
1.       Imprevedibilità: non vi è modo di predire l’intero corso del comportamento di una persona (come anche di situazioni in cui son in ballo molti tipi di eventi)
2.       Variabilità: vi sono un numero alto di strategie comportamentali in gioco, a seconda delle micro nicchie socio ecologiche in cui si agisce,  e un alto tasso di socialità in generale.
Naturalmente la variabilità e l’imprevedibilità del comportamento è misurabile in altre specie animali, e certamente deve essere un tratto molto diffuso in natura

Valore della libertà
Fin’ora ho cercato di trovare un modo che ci mettesse in grado di dare una definizione più stringente di libertà. una definizione che ci permettesse di parlarne con maggiore cognizione di causa. Ma la Libertà come processo di deliberazione non ci dice nulla sul valore, in termini morali e politici, della libertà stessa. Non ci aiuta dunque a rendere più chiaro il senso di A.
Essa, più precisamente, chiarisce quale sia l’oggetto di valore della questione della libertà: Noi riteniamo che la nostra libertà non può venire soppressa perché crediamo che il soggetto scelga qualcosa, e non pensiamo che ciò che egli o ella sceglie sia qualcosa di interamente predicibile tramite un qualche tipo di calcolo. La scelta che faccio non è prestampata in un modulo il cui svolgimento comprende l’intero dispiegarsi del mio comportamento, o almeno dei tipi di risposte che metto in atto.
È proprio perché riteniamolo impredicibile che  i scelga x, che diamo l’attributo di scelta a quell’evento in cui il soggetto i è coinvolto scegliendo x.
Come potremmo dare un valore ad x, se sapessimo che ciò che si è verificato non è stato un atto di scelta, un evento sociale ed astratto, ma solo un evento biologico dato dall’insieme degli eventi biologici di uno o più organismi entro un certo lasso di tempo?
La scelta come output di un processo di deliberazione è dunque un oggetto di valore. Ma ciò non dice nulla su quale sia la fonte di quel valore. Perché diamo valore alle scelte?
Noi inferiamo la libertà dal comportamento, o meglio dall’analisi del comportamento di un individuo “nella sua dinamicità e nell’arco della durata”. L’evoluzione del comportamento e l’individuazione dei suoi costumi più frequenti è ciò che possiamo realmente misurare del comportamento animale e umano con riferimento all’esercizio della libertà.
Prima di affrontare il problema del valore delle scelte, affronterò brevemente quello del Libero Arbitrio. Ciò mi permetterà di chiarire alcuni concetti riguardanti la natura umana che saranno utili anche per le problematiche etiche

La libertà come Libero Arbitrio
La concezione della libertà, secondo la dottrina del cosiddetto “Libero Arbitrio”, è tutta poggiata sull’ipotesi che vi sia un soggetto unitario, nella sua essenza, anche se composto da varie sub strutture funzionali (cerebrali, psicologiche, biologiche ecc.) a cui imputare il l’”iniziazione”  di ogni suo atto libero. L’atto è ponderato, selezionato e messo in esecuzione, come avviene nel processo di deliberazione. Ma non è questo che connota l’atto come libero. Esso è libero in quanto la fonte che lo realizza è dotata di una proprietà speciale che causa il processo di deliberazione. Il Soggetto unitario, od una parte di esso ritenuta centrale e gerarchicamente protagonista (l’anima, l’intelletto, lo spirito ecc.) sono equipaggiati di una sorta di “libertitudine” (la proprietà speciale di cui parlavo sopra)che rende liberi gli atti tramite un processo di deliberazione, e non grazie a tale processo.
Nel quadro appena  tracciato Il Soggetto cela nel buio della sua mente, o anima, la decisione positiva o negativa iniziale nei rispetti di una certa azione. Il Soggetto in questo modo , cioè grazie all’iniziazione del processo deliberativo, diviene anche responsabile del suo atto.
Come abbiamo visto, Libertà è un termine astratto che si riferisce ad un processo di deliberazione composto di varie fasi, cioè la ponderazione degli atti possibili, la selezione degli stessi e la loro esecuzione.
Mentre nella concezione della libertà come Libero Arbitrio il processo deliberativo non è il cardine della libertà, poiché questo ruolo centrale è ricoperto da un qualche stato interiore del soggetto di cui costituisce una proprietà speciale, dal quale il processo prende le sue fila.
Bisogna subito notare che sia il processo deliberativo che la proprietà speciale, la “libertitudine” dell’IO sono entrambe stati interiori presupposti nel soggetto. Ciò che li differenzia è il fatto che mentre il processo deliberativo è inferibile dal comportamento, almeno come ipotesi capace di spiegarne le tipicità, la proprietà speciale non è inferibile in alcun modo. Essa assomiglia molto al coleottero di Wittgenstein.  
Non possiamo sapere se un comportamento è libero perché è derivante da un processo di deliberazione o perché tale processo di deliberazione dirige il comportamento perché a sua volta esso è direzionato verso il comportamento da un secondo meta elemento, che consta di uno stato interiore non altrimenti conoscibile. Ciò che possiamo ipotizzare, dato l’effettivo comportamento degli individui, è che in essi si svolga un processo deliberativo, ma dobbiamo fermarci lì.

Il Soggetto Substrutturato
La consistenza del modello della Libertà come Libero Arbitrio è messa in dubbio anche da un altro fatto: la credibilità dell'esistenza di un soggetto unitario che dovrebbe essere portatore della proprietà speciale della libertà. Se seguiamo le scoperte scientifiche biologiche e neurobiologiche di praticamente gli ultimi duecento anni, ci accorgiamo che il Soggetto non è affatto unitario. Esso non è composto da un continuum, ma da innumerevoli sezioni discrete, o parti, che compongono tanto la sua forma biologica che il suo apparato cognitivo - comportamentale.
Non sto dicendo, come l’ultima filosofia, che il soggetto sia “destrutturato”. Esso è piuttosto Sub – Strutturato. Conserva una sua struttura, la cui stabilità è indipendente dai contesti o dai mezzi cognitivi con i quali la si osserva. In essa moduli biologici e psicosociali si interpolano all’unisono, creando una miriade di passaggi di mutua informazione, conducendo  verso la sopravvivenza dei moduli stessi, nel loro maggior numero possibile, ( e dunque facendo sopravvivere l’individuo.)
Di nuovo, questo non vuol dire che il soggetto scompare. Esso va solo visto con occhi diversi. Non c’è una caratteristica “magica”, un’essenza unificante,  che fa di un essere umano un essere umano. E’ l’insieme delle sub strutture cognitive e biologiche, nella loro variabilità,  a dare il disegno personologico e attitudinale di ognuno di noi. La “magia” sta nella coordinazione delle parti che producono un comportamento unitario del soggetto tale che percepiamo, nelle sue risposte comportamentali, il  soggetto come effettivamente unitario.  
La substrutturalità del soggetto, il suo essere un “composto” a cui si da una specie di nome collettivo, dunque, non lo distrugge; impone solo di cambiare gli strumenti col quale guardare alla Libertà.
Secondo questa interpretazione del soggetto, La libertà è data dalla capacità di tutte le sub strutture che compongono un individuo - e che tutte insieme danno vita a quello che noi indichiamo come l’organismo individuale - di agire variabilmente e impredicibilmente  tramite strategie che utilizzano le loro strutture fisico biologiche.
L’unicità del singolo organismo non sta nella forma particolare che i geni e la storia di vita personale  hanno dato ad un organismo umano. La sua unicità sta nell’insieme delle sub strutture che, nella loro estrema variabilità interindividuale, finiscono per orchestrare un individuo sempre diverso dall’altro.

La libertà dunque sta in ciò che si percepisce nell’analisi del comportamento di certi esseri viventi, e prende vita secondo le forme di comportamento che i moduli biocognitivi che interagiscono in un organismo producono.   

martedì 15 ottobre 2013

Ancora Neoguelfismo - Semipresidenzialismo

Ecco l'ultimo tassello del disegno neoguelfo, il Semipresidenzialismo, dopodiché, la trasformazione della Repubblica Italiana in Repubblica Cristiana d'Italia sarà completa. Non per niente il Ministro delle Riforme, nonché promotore dell'elezione diretta del Presidente è Quagliarello, esponente di punta del Neoguelfismo di destra. Un Parlamento all'ottanta percento costituito da cattolici papisti, parte cristiano sociali e parte cristiano conservatori, con spruzzate di neofascisti e neocomunisti. Un Presidente dotato dei poteri di quello Francese, non essendo l'Italia la Francia, cioè una Repubblica veramente bipolare. 
Un blocco di potere inamovibile e omogeneo che inizia nella società civile con tutte le associazioni e sindacati (nonché banche e gruppi d'affari) cattolici e finisce col Presidente della Repubblica. Perfetto. 

I più penseranno che nulla in realtà cambierebbe, che se l'Italia non era laica prima, non lo sarà dopo. E invece molto cambierà. Sarà una nuova forma di governo e modello di Stato. Non è Democrazia cristiana, è Neoguelfismo Ciellino. Non è solo la fine della laicità, ma della democrazia liberale

giovedì 10 ottobre 2013

Dio o Popolo? Neoguelfismo e Repubblica sul filo dell'identità nazionale




La crisi economica, fiscale e sociale dell'ultimo lustro non ha fatto che aggravare ed esasperare una crisi della politica a sua volta generatasi col crollo della partiti della prima Repubblica. 
Di nuovo, questo crollo è figlio naturale del crollo del Muro di Berlino. La fine dell'impero sovietico, con tutto il carico ideologico che portava con se, ha appesantito ulteriormente  il fardello del disincanto che almeno da metà anni '70 premeva sulla "fede" ideologica degli italiani. 
La fine dell'ideologia ha posto fine alle identità politiche "forti": l'identificazione nell'ideale (comunista, socialista, repubblicano ecc.) e nel partito che quell'ideale promuoveva sono venute meno. 
Segno di questa difficoltà di identificare ideale e forza politica che lo sostiene è stato il continuo cambio di nomi che i vari partiti della seconda Repubblica hanno adottato negli ultimi vent'anni: Pds, DS, Ulivo, Unione, PD, FI, PDL, poi ancora FI ecc. 
A complicare il quadro generale si deve aggiungere la specificità dell'identità culturale nazionale italiana. Essa è frammentata in mille campanilismi e corporazioni, ed è inoltre guastata dall' eterno dissapore tra cittadino italiano e apparato statale. Il locale in Italia ha dunque una forte presa. Le reti amicali e la rete familiare estesa (quella composta dal complesso dei parenti disponibili entro un certo territorio) stringono il cittadino alle sue radici territoriali. 

Fine dell'identità ideologica come adesione ad un modello di società ideale che si rispecchia in una appartenenza ad un partito, e persistenza di un'identità nazionale discontinua e affetta da localismo. Questo è il "paesaggio" socio - politico entro cui ci troviamo alla metà degli anni '10 di questo nuovo secolo. 
In questi giorni siamo alle prese forse con la fine di un'altra identità, che ha segnato a fondo gli ultimi vent'anni  della società e della politica italiana.  
Sto parlando dell'identità personalista, nella quale vi non è identificazione tra elettore e partito per il tramite dell'ideologia, ma tra elettore e capo carismatico per il tramite della fede in quello stesso carisma. 
L'opera berlusconiana ha saputo tacitare i fermenti localistici, anche con alleanze locali studiate - anche se mediocremente funzionanti - (Lega, MPA, ecc.) e ha soprattutto saputo creare una ideologia funzionale al mantenimento del potere. Una ideologia, si badi, opposta a quella che aveva caratterizzato i partiti storici usciti dalla Resistenza. Partiti quali quelli socialisti e quello comunista  proponevano uno slancio utopistico verso  una società completamente nuova, che si differenziava da quella attuale per valori e per strutturazione socioeconomica. Altri partiti invece, come quello Repubblicano, e persino la DC,  proponevano una società sì fondata su valori tradizionali, e la cui forma socioeconomica non fosse destinata a cambiare eccessivamente, ma dall'altra parte tale società e valori erano descritti come sempre perfettibili, riconoscibili nella Costituzione, la quale doveva essere attuata  consistendo essa in molto di più che in un mero limite all'attività legislativa ordinaria.

L'ideologia berlusconiana, di contro, è, o è stata, un'ideologia dell'imperfettibile, e dello status quo. Tutto ciò che caratterizza l'italiano va bene così com'è, gli slanci ideali, di qualsiasi natura essi siano, sono  un'inutile perdita di tempo; anzi, queste attività odorano di sovversivo, di "illiberale". 
Naturalmente questa ideologia è solo una delle stampelle, e forse non la più robusta, sulle quali si è retto il berlusconismo. L'altra stampella è quella che potremo chiamare un'identificazione senza identità. L'elettore si identifica in Berlusconi non, o non solo, perché rappresenta l'ideologia dello status quo, ma soprattutto perché Berlusconi rappresenta una forza in sé, un potere in sé: egli ha la forza e il potere taumaturgico del leader spirituale prima che il carisma dello statista. Le sue personificazioni, quando capo popolo, quando imprenditore, quando "sciupafemmene", non sono altro che singole epifanie diverse dell'unico dio. 
Tutta l'Europa ha riso di Berlusconi statista, e lo hanno fatto anche i suoi elettori, ma hanno riso di tutta l'Europa. 
Dopo la condanna definitiva di Berlusconi, e la susseguente spaccatura interna al suo partito però, si aprono diverse prospettive.

Indipendentemente dalle formule organizzative e dalle modalità con cui i vari gruppi politici si coaguleranno in forze diverse, credo che il nodo centrale per capire quale strada la politica italiana possa intraprendere sia proprio quello della forma identitaria che la politica procurerà ai cittadini e alle istituzioni.

Ritengo che il principale segno in tal senso sia stato dato dai politici neoguelfi. I neoguelfi sono tutti quei politici, per altro verso di estrazione la più varia, che, cattolici, che sono particolarmente vicini alla Chiesa italiana e alla Curia Romana, e sono legati a doppio filo ad associazioni di varia natura di matrice cattolica a loro volta legati alle istituzioni ecclesiastiche. 
La pattuglia neoguelfa contiene molti nomi provenienti da tutti gli schieramenti: Sacconi, Quagliarello, Giovanardi, Lupi, Formigoni, a destra, Casini e l'UDC al centro, Letta, Fioroni, Turco, Boccia a sinistra. 
Ciò che accomuna tutti questi personaggi è l'identificazione tra cattolicesimo e identità nazionale. 
L'identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquista dell'unità politica
Queste sono le parole di Ratzinger  nella Lettera agli italiani in occasione del 150° dell'Unità d'Italia, che io ho ripreso da Risorgimento Laico, di Massimo Teodori.
Tutta la concezione della prospettiva neoguelfa si gioca su queste poche parole: l'Italia, lungi dall'esser nata in quanto tale nel furore risorgimentale, e rinata come Repubblica in quello della lotta partigiana, trova le sue radici unitarie nella religione cattolica. L'italiano e il cattolico sono un tutt'uno, e la cittadinanza trova la sua fondazione nella fede cattolica.

La fede nel doppio ruolo di fondamento dell'identità culturale  e dell'identità politica italiana.
Ciò premesso, vediamo in che cosa potrebbe praticamente consistere la proposta neoguelfa.
Innanzitutto ci troviamo di fronte ad uno scenario partitico piuttosto favorevole a questo disegno. Da una parte il PDL si sta lacerando lasciando sul campo almeno due arti, il più definito dei quali è senz'altro quello neodemocristiano, o popolare di Alfano. Mentre a destra di esso la situazione è confusa, la leadership mancante, e si nota una certa scarsità di personale politico di spessore.
Sul versante democratico, ormai tutti le personalità importanti che provenivano dal vecchio PCI sono "bruciate" o isolate, o fuori gioco, mentre la componente giovane dei laici del PD è confinata nella minoranza del partito. D'altra parte vediamo assurgere a ruoli dirigenziali di leadership tutte le componenti del cattolicesimo sociale del PD: Letta e Renzi in primis.
Lo scenario elettorale prossimo è più che quello di un grande partito Popolare sullo stile tedesco, quello di due grandi partiti cattolici, l'uno cattolico sociale, e l'altro cattolico conservatore, che si spartiscono governo, opposizione e Parlamento.
A questo punto il disegno neoguelfo è compiuto.
La Repubblica Italiana può trasformarsi, anche, secondo me, con modifiche costituzionali, nella Repubblica cattolico democratica italiana.
Due grandi partiti cattolici a dominare tutte le istituzioni, una funzione di Corte di Cassazione informale concessa alla CEI per tutta una serie di questioni (non solo quelle legate ai diritti civili), inclusa quella fondamentale della selezione preventiva della classe politica e una Costituzione modificata per es. per rendere impossibili decisioni intorno al matrimonio egualitario, l'eutanasia ecc, e la "certificazione" delle radici cattolico-cristiane dell'Italia.
Quello neoguelfo sembra essere, ad oggi,  l'unico esercito ad avere gli uomini, i mezzi e le munizioni, mentre la sinistra laica è succube di quella cristiano sociale, e l'estrema destra è allo sbando.




martedì 8 ottobre 2013

Fine del personalismo in politica?

Il personalismo in politica ha caratterizzato la vita pubblica italiana secondo due modalità. La  prima , vedeva partiti interi nascere, vivere e morire senza mai cambiare la leadership. Il partito era presidiato dal suo fondatore, e col suo fondatore era destinato a “morire”. L’esempio più fulgido è l’IDV di Di Pietro.
La seconda modalità  ha avuto effetto sull'organizzazione partitica, ed ha visto numerosi leader “minori” coprire dei “feudi” territoriali o correntizi, generando una lunga ed estenuante guerra di basso profilo di logoramento tra i leader medesimi.
Per quanto riguarda il secondo tipo di personalismo in politica, Il PD è il partito che meglio lo esemplifica; con le sue correnti, esso rappresenta alla perfezione quella serie di microambizioni, idee e interessi di parte che scontrandosi continuamente non riescono a dare alla struttura una leadership ordinata e ferma.

il PDL è stato il rappresentante più solido dei partiti “a leadership immutabile”. la Leadership di Berlusconi è caratterizzata da un carisma sui generis, più vicino a quello del leader spirituale che a quello dello statista. Il suo paternalismo da padrone di piccola azienda e la sfrontatezza dell’avventuriero hanno reso possibile l’identificazione  dell’elettore con il leader, l’idealizzazione del capo. Ciò si è accompagnato con grandi quantità di spirito di sottomissione.
 Il m 5 s è se possibile un partito persona, più che un partito personalistico.

Nel PD invece la leadership è variabile, e il rapporto elettore leader è quello della fiducia condizionale. Gli elettori votano PD per varie ragioni, anche identitarie, e per contrastare B, verso il quale c’è un rapporto cittadino/tiranno. Ma quello che conta sono i leader di corrente, vari notabilati abitati da clientes, che gestiscono il potere nel partito, invece che avere quella del partito. Il partito ha avuto leadership diverse, ma che non hanno avuto presa nel partito. Questo contrasto tra centri di potere diversi e stratificati non è mai domo, perché non c’è mai una fazione che prevale sull'altra.

Ma con la condanna di Berlusconi il quadro è completamente cambiato. Innanzitutto nel PDL sono emerse, fino a quasi strappare il tessuto del partito stesso, le correnti.
Emerge la figura di un leader alternativo, Alfano. Mentre dall’altro lato il duo Letta e Renzi sembrano essere riusciti a tagliare fuori tutta la ex classe dirigente di origine comunista. D’Alema, Veltroni, Bersani, ormai fuori gioco, mentre vengono messi all'angolo anche i dirigenti più giovani di origine diessina.
Si sente nell'aria che è in vista una riorganizzazione della politica.
Da una parte vi sono i centristi di destra e di sinistra, cioè i cattolici più vicini alla CEI (o a organizzazioni vicine alla CEI e altri organi religiosi) e dall'altra vi è un coagulo informe di micro forze di destra, come la Lega, Fratelli di Italia, e anche FI, se scinderà il PDL.
I partiti potrebbero passare da un periodo in cui il valore prevalente era la sudditanza psicologica, ad uno in cui vale invece davvero il collettivo partito. Può darsi che gli attuali politici non saranno in grado di ristrutturare nuovamente il fronte politico. Potremmo andare verso un pericoloso periodo di “anarchia”, in cui reggerà come istituzione solo la Presidenza della Repubblica.
Ma ciò accadrebbe solo se effettivamente Berlusconi venisse estromesso dalla vita politica attiva per tre anni e passa.
Si parla di amnistia. Se verrà amnistiato anche Berlusconi, allora, le cose cambierebbero.

Altrimenti, i partiti, non sorretti da personalità di spicco che li governano in modo autocratico, o policratico, o cambiano e trovano una via alla leadership democratica e alla gestione collettiva del partito, o sono destinati a disfarsi. 

Viva la Filosofia del Gender !


Io mi dichiaro a favore della filosofia della Gender Equality.

I sessi, cioè gli organi sessuali e il corredo di caratteri fisici omogenei e tipici di un sesso o l'altro, che rendono l'individuo almeno potenzialmente abile alla procreazione, non designano la personalità umana dal versante sessuale.
 Il sesso dei genitali rappresenta la semplice forma biologica dei nostri organi riproduttivi; e dalla semplice forma biologica, a sua volta, non si può derivare un unico uso prescritto dell’organo. Questo infatti sarebbe come dare arbitrariamente un qualche fine alla Natura, cioè quell'uso determinato dell'organo..

Questo è puro nonsense. Le unghie della mano servono a grattarsi?

 Da  ciò:
1.        I sessi, in quanto derivanti da processi meramente biologici, non possono definire le categorie base della identità sessuale.
-          L’identità di genere, cioè, non è inferibile dalla forma dei genitali o dal loro uso maggioritario e consuetudinario, perché tale forma non dice nulla su eventuali “scopi” degli organi stessi.
2.       Tale identità consiste in ciò che il soggetto (a cui attribuiamo la capacità di essere giudice nella soluzione di un dilemma morale, e abile a destreggiarsi nella vita quotidiana), auto percepisce del proprio funzionamento sessuale; quando il soggetto non è mai in possesso della capacità volontaria di cambiare la propria identità di genere, semplicemente decidendolo.
I sessi  sono due, mentre i generi sono di più. Abbiamo, senza pretesa di comprenderli tutti, l’idea che siano 11:
1.       Genere femminile che intreccia relazioni con persone del sesso opposto
2.       Genere maschile che intreccia relazioni psicosessuali con persone del sesso opposto 
3.       Genere maschile che intreccia relazioni psicosessuali con persone dello stesso sesso
4.       Genere femminile con intreccio di relazioni fisico intellettuali con persone dello stesso sesso
5.       Tran gender verso Donna
6.       Tansgender verso Uomo
7.       Transgender misto
8.       Bisessuali uomini
9.       Bisessuali donne
10.   Asessuali
11.   Persone che devono decidere il proprio sesso, a seconda delle identità di genere, cioè le persone che nascono con genitali insoliti, non identificabili nell'uno o nell'altro sesso

Il sesso non determina l’intera vita sessuale di una persona, così come la forma delle mani non determina una singola “modalità del prendere”.

Il Gender dovrebbe essere dunque ciò che prevale nella valutazione dell’identità sessuale, anche in ambito giuridico

domenica 6 ottobre 2013

La sinistra e l'Islam

200 frustate. Donna vittima di stupro di gruppo condannata a duecento frustrate per aver commesso non si capisce bene quale violazione alla segregazione sessuale che vige in Arabia Saudita. Donna punita perchè stuprata da sette uomini. Punita perchè è donna ed ha violato la sharia. 
No, i sauditi non sono beduini, non sono pigmei che si nutrono di bacche (dei quali per altro mi risulta la pacificità), no. I sauditi sono ricchi, moderni, armati e inseriti nel mondo. E sono musulmani. Applicano la sharia, la legge islamica come la applicherebbe qualsiasi musulmano che vivesse in uno Stato musulmano. Il loro Stato produce queste barbarie perchè è informato da una religione che se lasciata a se stessa, libera di agire nelle leggi e nelle istituzioni produce leggi e istituzioni barbare. 
I cinesi non puniscono una donna vittima di stupro. I nord coreani non puniscono una donna vittima di stupro. I birmani non lo fanno, e non l'avrebbero fatto nemmeno i nazisti!
C'è qualcosa che viola così tanto il nostro senso comune morale in queste frustrate, che riesce difficile capire come qualcuno possa permettersi di fare una cosa così crudele se non invasato da una religione che è di per se stessa fonte di una follia razionale, lucida ed espansiva. 
Per decenni ci siamo dovuti sorbire le paternali della sinistra, sul "si evolveranno", sul "sono sfruttati e così il loro modo di vivere è una sorta di difesa". La sinistra pecca di economicismo, e lega perciò i fatti religiosi ad un presunto substrato economico. E non ha capito invece che una religione in se stessa può spezzare il mondo (come fece a suo tempo il Cristianesimo) indipendentemente dalle caratteristiche dell'economia del popolo che la professa. E ci ritroviamo dunque con la situazione che solo la destra tradizionalista è "autorizata moralmente" a criticare o a porsi in contrasto con le istanze islamiche. E questo è un errore. Perchè la Sinistra è per i diritti umani, e dove c'è Islam non ci sono i diritti umani, è per l'emancipazione della donna, e dove c'è Islam c'è sottomissione della donna. E' per la laicità, e dove c'è Islam non c'è nemmeno la parola per dire laicità.
Certo, i musulmani in Italia sono ancora pochi, e non c'è ancora chi rivendica zone franche in cui viga la sharia (ove non viga di fatto) come in Inghilterra. Non abbiamo le rivolte delle Banlieu francesi e norvegesi. Ma il problema è europeo, e bisognerà prima o poi mettervi mano, e se lo faremo con troppa condiscendenza, beh, allora sarà un bel problema

Il dovere del buon cristiano

Catechismo della Chiesa Cattolica 

In particolare il par. 2357 e 2359 dove si invita gli omosessuali alla castità. 
E' evidente che la religione cattolica è intrinsecamente omofoba, giacchè l'omofobia si caratterizza in special modo secondo due varianti, il giudizio di immoralità ("grave depravazione", "intrinsecamente disordinati") e quello di antinaturalità ("contrari alla legge di natura). Ogni cattolico perciò è tenuto, in quanto tale, in quanto facente parte della Chiesa Cattolica ad essere omofobo e a fare di tutto perchè tale omofobia rimanga la sostanza sociale con cui la società si regola con gli omosessuali.

I politici cattolici devono perciò impedire non solo che i lgbt possano ottenere diritti, ma anche che possano ottenere un qualche riconoscimento come quello della legge antiomofobia porterebbe loro. Poichè l'omofobia è infatti Legge di Dio (quella che per Francesco è limite della legge civile, ma non ve l'hanno detto in TV questa cosa qui), allora essa deve essere il senso comune non solo della società, ma delle Istituzioni. E chiunque faccia parte della Chiesa, quindi tutti i battezzati, soprattutto se hanno responsabilità politiche, devono conservare e arricchire questo senso comune. Devono farlo i politici, gli amministratori, i maestri delle scuole dell'infanzia, i professori delle medie e delle superiori, e chiunque abbia un minimo potere di dover essere ascoltato. 

Tant'è che è quel che è successo. I politici cattolici, che, ricordiamolo, devono trovare nella Legge di Dio il limite della legge civile - cioè devono mettere il catechismo davanti alla Costituzione - senza esclusione di area politica hanno distrutto piano piano la legge contro l'omofobia, facendo presagire cosa ne sarebbe di una legge sulle unioni di fatto.

Castità e omosessualità

"2357 L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, 238 la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». 239 Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana."

sabato 5 ottobre 2013

ISLAM E COMUNISMO

Un tempo del comunismo si diceva che, al contrario di quanto sostenessero i comunisti degli stati democratici, non potesse avere una forma democratica che consentisse la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali, e che la prova di ciò erano gli stati oltre cortina. Al che i comunisti nostrani rispondevano che il comunismo sovietico era solo una parodia del vero comunismo, e che invece il vero comunismo sarebbe stato libertario,e non oppressore; purtroppo però i sovietici, e in particolare Stalin, avevano pervertito le istanze libertarie del comunismo verace. Nonostante ciò non si diede un solo regime comunista che non soppresse tutte le libertà e che non violò tutti i diritti umani. Certo, alcuni regimi furono meno oppressivi di altri: la Yugoslavia di Tito non era la Cambogia di Pol Pot, ma tutti furono accomunati dall'essere stati totalitari, ognuno a suo modo.
Oggi vediamo che, allo stesso modo, non v'è alcun stato che si governi in base ai principi dell'Islam, che non opprima tutte le libertà e non calpesti tutti i diritti umani. Naturalmente il Marocco non è l'Iran, ma ogni stato islamico a suo modo è distruttore di qualsiasi diritto, fino ad arrivare all'impiccagione degli omosessuali e la repressione violenta non solo degli oppositori politici ai potenti di turno, ma anche di chi professa religione diversa dall'Islam, e, come accade in Turchia, di chi si permette, da ateo, di fare della goliardia sul Paradiso. Non diranno i nostri islamici che quello non è vero Islam? Che l'Islam è una religione di pace?
Ma il dubbio viene di sostenere che come l'applicazione dei testi Marx-leninisti porti alla dittatura della burocrazia, l'applicazione del Corano porti alla dittatura clericale e all'inquadramento totalitarista di tutta la società.